Neurodivergenza, attivismo e autorappresentanza: la mia riflessione a cuore aperto sull’ identità del mio “Piccolo Scaffale dei Sogni”

Questo non è un articolo semplice da scrivere. anche per il peso emotivo che si porta dietro. Ci ho riflettuto per parecchio tempo e, alla fine, ho capito che è importante parlarne visto che il blog è nato soprattutto per sensibilizzare su autismo e neurodivergenze.

Partiamo dal principio: passando molto tempo su internet, mi sono spesso imbattuta nei termini attivista e self advocate. L’attivismo è politico a tutti gli effetti, un attivista lotta anche con metodi estremi per portare avanti le sue battaglie, anche rimettendoci la propria incolumità. Io ho sempre percepito questo termine come pesante da sopportare a livello psicologico ed emotivo, non adatto a me. Molti attivisti autistici che seguo sono recentemente andati in Parlamento a farsi ascoltare per cambiare le leggi per tutti i livelli di autismo. E’ un passo importante che spero che porti un vero cambiamento, per questo li ringrazio, io non credo che avrei retto una pressione così grande a livello psicologico.

Ho successivamente scoperto il concetto di self advocacy e self advocate: due termini traducibili con autorappresentanza e autotapresentante, ma anche divulgazione/divulgatore/ divulgatrice. I due termini possono coesistere e spesso lo fanno, infatti la maggioranza delle persone che seguo è entrambe le cose, ma io mi sento più agio a identificarmi in questa definizione che nell’ altra. Io, prima di trovare questo termine, mi autodefinivo “sensibilizzatrice“, ma ho scoperto che, anche se il termine “sensibilizzatore” esiste, non ha niente a che vedere con ciò che faccio.

Ora, come dice Irene Facheris, aka Cimdrp, ovvero colei che mi ha introdotto al femminismo con il suo canale YouTube e la rubrica “Parità in Pillole“, poi diventata libro, “Il personale è politico” e, di fatto, non ha tutti i torti: già utilizzare il termine neurodivergenza non è neutro, dato che è nato con valore socio-politico come rivendicazione dei propri diritti e come richiesta di depatologizzazione. Questo visione si sta ampliando sempre di più e molti chiedono che anche determinati disturbi mentali siano inclusi in questo termine ombrello, perché possono essere considerati funzionamenti mentali differenti: un esempio è il Disturbo Ossessivo Compulsivo, ma anche quello Post Traumatico da Stress ( soprattutto se nella forma Complessa, in cui il disturbo diventa cronico) e quello d’ansia o tutti i disturbi di personalità del cluster b, come il narcisismo. L’ epilessia e la Sindrome di Down sono state aggiunte di recente, per esempio. Questa proposta è molto dibattuta e in parte anche controversa ed era il motivo per cui ero così scettica a scrivere questo articolo: lo capisco che i disturbi del cluster b derivino da traumi molto gravi e modifichino la struttura cognitiva rispetto a quella di una persona senza disturbo, influenzando sia il modo in cui una persona prova emozioni che quello in cui manifesta empatia, ma non so quanto è giusto equipararli all’ autismo, all’ ADHD e ai DSA. Non mi spingo troppo oltre con il giudizio, ma, ovviamente, la discussione è aperta a tutti. Quello che è certo è che esistono anche psicologi, psichiatri e dottori in generale che ascoltano la comunità neurodivergente e cercano di migliorare i percorsi diagnostici ridefinendoli come Neurodiversity Affirming e, quindi, concentrandosi di più sui punti di forza della persona che impuntandosi sulle sue difficoltà fino a annullare ciò che le riusciva perché passa completamente in seconda piano e allontanandosi da una terminologia stigmatizzante.

Da quando ho aperto il blog, nel 2020, ho cercato di fare sensibilizzazione raccontandomi, come forma di autorappresentanza e modo per creare un ponte attraverso la mia esperienza personale di persona con un certo grado di consapevolezza di sé, sia nei traguardi che nelle difficoltà. Divulgo le diverse sfaccettature della neurodivergenza che mi riguardano – autismo, disprassia e i dsa, nello specifico discalculia e disgrafia – per riflettere e avvicinare quante più persone possibili a questo argomento per fare piccoli passi verso l’accettazione e la convivenza delle differenze. Molti divulgano anche i diritti e per questo sono molto riconoscente verso di loro.

Anche se sembra una piccolezza e, purtroppo, molta gente ancora sottovaluta questo aspetto, io faccio divulgazione anche attraverso l’ analisi della rappresentazione, soprattutto letteraria, essendo laureata in lettere moderne, dell’ autismo. Per me è importante parlarne per far capire che solo ascoltandoci i personaggi saranno sempre più realistici e umani e meno macchiettistici. Fortunatamente in qualche occasione ho avuto sorprese positive per rappresentazioni che inizialmente mi spaventavano e temevo che fossero stereotipate, ma, purtroppo, nella maggioranza dei casi le mie sensazioni sono giuste.

Nel mio piccolo, ho avuto anche la possibilità di espormi e autorappresentarmi in contesti più istituzionali: uno tra tutti è stato l’ essere coinvolta dal mio neuropsichiatra in incontri di formazione con i suoi colleghi in cui potermi raccontare, ma anche un altro evento del quale ho parlato qualche articolo fa e che si è tenuto di nuovo di recente mi ha permesso di raccontarmi e vedere come la gente recepiva la mia storia: il libro umano , organizzato e promosso dalla Commissione alle politiche di genere della mia città. La prima volta ho raccontato ai ragazzi delle medie e delle superiori il mio percorso scolastico e il bullismo subito, è stato catartico farlo proprio nella mia ex scuola media, e la seconda ho raccontato delle difficoltà che sto riscontrando nella ricerca del lavoro come persona neurodivergente e disabile. Un tema che sicuramente merita un approfondimento apposito, e prima o poi lo farò, ma è meglio trattare argomenti complessi con il giusto tempo e dopo una riflessione ponderata da parte mia visto che la polemica mi appartiene davvero poco. Ma torniamo a noi: sia la prima che la seconda volta, ho notato che la gente mi ascoltava davvero e recepiva la mia storia con altrettanta sensibilità. In un contesto come quello c’era il rischio anche di incorrere in domande poste in modo volutamente provocatorio, cosa che per fortuna non mi è successo e ho risposto a tutte le domande con la massima tranquillità, anche a quelle più spinose.

Io sono sempre aperta al confronto e tendo la mano a tutti, ma chi è veramente disposto a prenderla e unirsi a me? So che non tutti lo saranno e non lo pretendo, ma in realtà continuare a portare avanti la retorica del noi e del voi spesso rafforza quella crepa, invece di creare un ponte che unisca i due lati senza che uno prevalga sull’altro. La società odierna non è fatta per nessuno, ma ancora meno per le persone neurodivergenti.

Spero che il filo del mio discorso sia comprensibile e non sembri un enorme flusso di coscienza sconclusionato. Vi giuro che ci ho riflettuto per parecchio tempo prima di scriverlo, ma adesso è arrivato il momento di dire la mia e il mio blog è qui per questo. Ho scoperto che la settimana dal 18 al 28 marzo di ogni anno è dedicata alla celebrazione della neurodiversità. L’ ho scoperto quando ormai era già finita, ma, chissà, magari l’ anno prossimo potrei ritagliarmi un giorno per un articolo specifico in quella settimana, vediamo.

Aspetto di sapere la vostra nei commenti,

A presto,

Cate Lucinda Vagni

8 pensieri su “Neurodivergenza, attivismo e autorappresentanza: la mia riflessione a cuore aperto sull’ identità del mio “Piccolo Scaffale dei Sogni”

  1. Grazie per la tua missione. Il tuo lavoro è estremamente importante per far prendere coscienza delle lotte e delle aggresssioni sociali che subiamo dalla notte dei tempi. Parlarne serve e bisogna continuare a parlarne, affinché lo stigma venga definitivamente abbattuto, in nome di una società più equa. Grazie a persone come te, si sta edificando un ponte, dove prima c’era un burrone. Grazie.

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    • Ci sono dei momenti in cui la tentazione di mollare c’è perché le poce cose buone che ottieni sembrano venir annullate da alcuni discorsi che le persone come me, ovvero “che parlano”, si sentono fare troppo spesso. Persone che pensano di conoscerti da un post o da un video e iniziano a sminuire e invalidare il tuo percorso ancora in divenire perché credono che per te sia tutto facile visto che non hai disabilità cognitiva. Non è così, io ho molte altre difficoltà molto complesse per le co occorrenze e l’ ansia sociale, per esempio. La sola capacità di riuscire a verbalizzare ciò che sento non annulla tutto il resto anche perché, purtroppo, posso perderla da un momento all’altro durante un sovraccarico, è la prima cosa che se ne va in quei momenti. Trovare una comunità ha fatto la differenza perché anch’io ho avuto difficoltà ad accettare ciò che era scritto sulla diagnosi perché mi sentivo patologizzata in una maniera ingiusta. I due lati del crepaccio si possono unire e possiamo trovarci a metà strada, ma bisogna volerlo da ambo i lati. E non è semplice.

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      • Mi posso identificare fin troppo bene sul sentirsi invalidati per le lotte che stiamo cercando di fare. Essere neurodivergenti è la più antica forma di discriminazione che esista e, purtroppo, lo sarà ancora per molto. Ma se oggi la situazione è migliore, è grazie a persone che, come te, fanno divulgazione e consapevolezza. Riguardo all’accettazione della diagnosi, mi sono autodiagnosticato alla fine degli anni ’90, quando ancora non se ne parlava. Ho provato a farmi diagnosticare ufficialmente, ma sono stato invalidato, zittito, sminuito e ho subito pure victim blaming e violenze verbali, da professionist* qualificati. Ora il percorso, anche se lentamente, sembra andare avanti, anche se sarà una diagnosi “light”. Avere giustizia non fa parte della società umana. Per me una diagnosi sarebbe stata da sempre una benedizione, forse perché, sin dall’asilo, non ho mai avuto pregiudizi, e non ho mai stigmatizzato la neurodiversità.

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        • Ti auguro di ottenere questa diagnosi per la quale lotti da tanto, davvero 🫂❤️
          Purtroppo nessuno ha il supporto che gli spetterebbe, noi di livello 1 siamo forzarti a compensare perché secondo la società possiamo “funzionare” meglio di altri, ma è una bugia perché durante i sovraccarichi non funzioni affatto. Chi invece avrebbe bisogno di un supporto quotidiano e di accesso alle terapie non ha comunque ciò che gli spetta e le famiglie giustamente si risentono ma non è scagliandosi contro le persone di livello 1 che otterranno ciò che vogliono. Se abbiamo la diagnosi le difficoltà esistono, altrimenti non ci sarebbe la diagnosi. Poi esistono anche le persone subcliniche ma quello è un altro discorso ancora più complesso e controverso perché sono persone che hanno imparato così tanto a compensare che non superano nemmeno la soglia minima per la diagnosi. Molti di questi discorsi andranno ripetuti diverse volte, ma finché nessuno ti inveisce contro e ti invalida va bene. Ogni funzionamento merita rispetto e questa società non è fatta per nessuno, soprattutto per le persone neurodivergenti.

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          • Anch’io ho dovuto compensare così tanto da non sembrare nemmeno nello spettro, ma solo e unicamente perché, dall’età di cinque anni in poi, non ho mai avuto scelta. Ero già una persona adulta che doveva arrangiarsi per conto proprio, in tutto e per tutto. È questo che non sono mai riuscito a far comprendere alle persone “professioniste” della salute mentale, ricevendo in cambio solo violenza medica. E pensare che davo per scontato che non potesse esserci nient’altro che condizione di abuso nella vita, in quanto non solo sono sempre stato negato come neurodivergente, ma anche come essere umano. Ma riconosco che la mia storia è molto complessa. Per questo sono arrivato a provare rassegnazione, persino per questa “diagnosi light” che “dovrei” ottenere (anche se è in sospeso da oltre sei mesi ormai.

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  2. Io non sono molto daccordo nel inserire i disagi psichici (così voglio chiamarli e non malattie mentali) con le neurodivergenze, come autismo, adhd, ecc.
    Io stessa sono neurodivergente ma anche con disagi psichici e sinceramente quest’ultimi non li augurerei a nessuno e vorrei sbarazzarmene, mentre sono fiera della mia identità neurodivergente.
    Io soffro di PTSD complesso che comporta altre serie di disturbi derivanti da questo. E non vedo questa cosa come un mio funzionamento, un modo di essere… ma la vedo come una sorta di cancro del mio cervello.

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