Naoki e le controversie del suo racconto

Dopo avervi parlato del documentario ispirato a questo libro, ho deciso di leggerlo: oggi parliamo di Il motivo per cui salto di Naoki Higashida.

Naoki Higashida, Il motivo per cui salto, Sperling & Kupfer, 2005

Come ho ampiamente spiegato nella premessa al documentario, questo libro è arrivato in Europa grazie alla traduzione di David Mitchell e della moglie, di origine giapponese. La versione italiana ha la prefazione di Franco Antonello, padre di Andrea, ragazzo autistico che usa la stessa strategia comunicativa di Naoki. Naoki ha usato una griglia in hiragana – perchè sarebbe scorretto chiamarla alfabetica dato che la scrittura giapponese non ha un alfabeto, ma degli ideogrammi. – per rispondere alle cinquantotto domande che compongono il libro. Proprio per questo è inesatto definirla autobiografia: il ragazzo non racconta la sua esperienza in maniera lineare, ma riporta alcuni pensieri su come vive la sua condizione. Franco racconta che il figlio, a volte, non sembrava proprio interessato a comunicare nonostante la griglia alfabetica. Per riflettere sulle ecolalie e la loro funzione riportando l’esperienza di un ragazzo che al ristorante ordinava sempre la margherita non perchè fosse la sua preferita, ma perchè gli veniva più semplice dire margherita invece di pizza. Questo non è un dettaglio trascurabile perchè spesso anche io cerco di semplificare i concetti anche se so cosa voglio dire ma magari in quel momento non riesco a formulare una frase complessa. Anche Temple Grandin, nel suo libro sul pensiero autistico, aveva detto che spesso le persone autistiche vanno per associazioni che per i neurotipici sono strane: per esempio un bambino diceva alla madre “cane” ogni volta che voleva uscire perchè per lui era il modo più logico per esprimere questo concetto dato che, effettivamente, avevano un cane. Franco racconta anche la storia di un ragazzo pakistano che ha dimostrato di conoscere almeno due lingue: la propria e l’inglese. Questa scoperta spiazza chiunque lo conosca perchè molti credevano che il ragazzo non capisse cosa gli succedeva intorno solo perchè non si esprimeva verbalmente. Su Franco e Andrea è stato scritto un libro da Fulvio Ervas, Se ti abbraccio non aver paura, oltre a Sono graditi visi sorridenti, testimonianza diretta di padre e figlio, infatti nella prefazione Franco racconta delle reazioni del figlio durante le presentazioni del loro libro.

Tornando a Naoki, molti non sono convinti che le risposte siano sue a causa dell’utilizzo della griglia, ma siano state rimaneggiate dalla madre di lui o, addirittura, da Mitchell mentre traduceva. Nel romanzo ci sono anche piccole poesie e storie che intervallano le risposte. Ci sono alcune risposte che, in effetti, mi hanno un pò fatto storcere il naso e provare dispiacere: sorvolo sul fatto che spesso usa espressioni come persone normali per intendere neurotipiche – nel 2005 questo termine non era ancora diffuso – e “affetto da autismo “ proprio perchè comunque è una confessione molto delicata fatta da un ragazzo di tredici anni, ma il problema è che, a un certo punto, gli viene chiesto come vive la sua condizione. La risposta è che lo trova deprimente perchè chiunque intorno a lui è nervoso o a disagio per i suoi comportamenti “strambi”. Ecco, questo pezzo mi ha fatto abbastanza male e sono rimasta un pò perplessa: da una parte, purtroppo, non è così improbabile che Naoki si sia sentito un peso per chiunque dato che viene dato per scontato che le persone non verbali siano completamente incapaci di comprendere ciò che hanno intorno, tant’è che, ho scoperto che un ragazzo che lo è stato per anni e grazie alle terapie ha cominciato a parlare, ha detto che capiva benissimo quello che i genitori dicevano di lui e che lo considerassero un peso. Questo dimostra che bisogna dosare le parole anche in situazioni in cui prevale lo sconforto e spesso non si hanno i dovuti aiuti. Dall’altro lato, però, c’è davvero una probabilità molto alta che sia stata la madre a mettere in bocca al figlio un discorso così pietista. Lascio il beneficio del dubbio perchè la verità non la sapremo mai.

Il resto delle risposte, comunque, sono molto oneste e, nella loro semplicità, molto comprensibili per chi non conosce l’autismo e vuole capire meglio alcune caratteristiche come lo stimming, le ecolalie e altro. Come per il documentario, anche in questo caso c’è la domanda specifica che serve a spiegare il titolo.

Lo consiglio nonostante le controversie perchè, secondo me, è importante diffondere questa esperienza.

Vi aspetto nei commenti come sempre,

Cate Lucinda Vagni

17 pensieri su “Naoki e le controversie del suo racconto

  1. Sicuramente una recensione interessante, che rivela una cosa alquanto importante, ossia che le persone non verbali possono avere una disabilità cognitiva totale, parziale o non averla. Alla luce di questo fatto, assai fondamentale, i caregiver devono cambiare atteggiamento in presenza della persona, che si potrebbe rendere conto di quello che sta accadendo e delle reazioni in sua presenza. Concordo con il titolo di uno dei libri citati “Sono graditi visi sorridenti”. I caregiver hanno un lavoro immane e pesante anche a livello mentale e psicologico, ma la persona resta persona, anche se non risponde come sarebbe canonicamente accettabile o se non migliora. Il morale a terra, le lacrime, i discorsi pietisti, la frustazione etc… sono a mio avviso tutte valvole di sfogo, che vanno concesse ai caregiver, che dovrebbero, però, concedersi questo momento in separata sede, dove è giusto e concesso essere demoralizzati e tristi per la situazione vissuta. Davanti alla persona da aiutare sarebbe meglio (e non è facile lo so ed è come chiedere un sacrificio a chi di sacrifici ne fa H24 per tutta la vita) avere un comportamento positivo, sorridente, che possa far trapelare quantomeno una gioia mitigata, che però è fondamentale per preservare il morale della persona aiutata

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    • Mi sa che il titolo di quei libro in realtà è riferito al figlio di Antonello che, essendo autistico, potrebbe dare l’impressione di non sorridere mai nemmeno al pubblico ma per scoprirlo lo devo prima leggere. Perché nella premessa effettivamente Franco Antonello racconta che il figlio si stressava tanto alle prestazioni e non sorrideva quasi mai se lui non gli diceva di farlo. Si però è brutto dire che rendi depressi gli altri, non è giusto farci sentire un peso. Sono sfoghi che potrebbero essere anche giusti se non fosse che è scritto in un libro e altre persone autistiche potrebbero essere ferite da questa affermazione. Anche persone con lo stesso grado di disabilità di Naoki potrebbero restarci male. Il pietismo non aiuta nessuno. Poi comunque purtroppo ci sono casi come un video aberrante di Autism Speaks che spettacolarizza questi momenti di debolezza per far passare l’autismo come un mostro. A me ha inquietato la confessione di quella madre che voleva gettarsi dal Ponte di Brooklyn con la figlia piccola perché non hanno abbastanza aiuti. Questo è meschino. La colpa non è della madre ma di Autism Speaks, è vero, ma in ogni caso il pietismo è una forma di abilismo

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      • Non penso che questo accada coi livello 1 e 2, ma penso soprattutto un livello 3, che ha bisogno di un supporto costante e la situazione diventa ancora più delicata se si associano co-occorrenze come la disabilità intellettiva e/o cognitiva. Poiché lo stato non dà sufficiente aiuti, il caregiver secondo me è legittimato a sentirsi sopraffatto e dimenticato dalle istituzioni. Purtroppo questa condizione di abbandono dallo stato può portare alla depressione nel caregiver e moltissimi sono talmente sopraffatti, che non scappano lasciando tutto e tutti. Anche il caregiver è una persona, che i suoi limiti psicologici ed emotivi. Non sto dicendo che sia l’autismo a innescare meccanismi di depressione negli altri, ma una serie di mancanze di sostegno dall’esterno e possibili co-occorrenze sì. Perché non voglio invisibilizzare neanche l’impegno e la devozione dei caregiver che solitamente sono le famiglie. Cerco di fare un discorso equo che tuteli tutti. Spero che questo discorso sia sottinteso, visto che mi conosci bene e sai che mai mi permetterei di dire che le neurodivergenze fanno diventare tristi i neurotipici, anzi… Sono un continuo arricchimento! Sono d’accordo con te che il pietismo è sbagliato, ma lo accetto se fatto da un caregiver abbandonato e se viene utilizzato in separata sede come valvola di sfogo senza rigettarlo addosso alla persona accudita. Poi spettacolarizzarlo assolutamente concordo con te è aberrante!

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        • No nel libro c’è proprio scritto che fa deprimere gli altri perché i suoi comportamenti sono strani, è citato testualmente nell’articolo, nessun riferimento a una mancanza di aiuto dallo stato o altro che è un altro discorso. Il pietismo viene sempre rigettato sul figlio dato che si dà per scontato che non capisca quello che dici ed è ormai dimostrato che non è così quindi dare per scontato che non lo faccia perché non parla a causa della disprassia verbale o altro è comunque un pregiudizio che nasce da esperti che danno informazioni sbagliate e spaventano ancora di più i genitori. Se vuoi denunciare la mancanza di supporto di tuo figlio cerchi altre parole per esprimerlo, il modo in cui è scritto nel libro di Naoki è ambiguo e doloroso. È questo il punto del discorso. Per quanto nel libro la risposte siano tutte brevi e concise, c’era modo e modo di rispondere a quella specifica domanda secondo me. Il sottotesto è proprio “Faccio deprimere gli altri perché sono strambo” non “Per i miei genitori è difficile perché lo Stato non ci aiuta come dovrebbe”. È molto problematica quella risposta, le altre alla fine sono molto belle anche per le domande più complicate ma questa è stata scritta male secondo me.

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          • Certo capisco benissimo la differenza tra puntare il dito contro lo stato o contro il ragazzo stesso, ma non ho capito se il ragazzo è convinto di fare deprimere perché gli è stato esplicitato oppure se è una sua idea personalissima che non ha un riscontro o ce l’ha solo parzialmente con la realtà?

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            • La controversia è che molti pensano che il libro l’abbia scritto la madre, non lui con la griglia alfabetica, quindi se fosse andata così la frase sarebbe proprio della madre, non del ragazzo. Il problema è quello. Se fossero parole del ragazzo potrebbe aver interiorizzato i discorsi dei genitori ma non potremo mai saperlo. Quella risposta nello specifico, però, è senza dubbio problematica

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      • E aggiungo che adotto lo stesso pensiero in qualsiasi contesto ci sia bisogno di un caregiver, sia per situazioni fisiche (esempio malattie invalidanti) sia magari ad esempio per persone, che sono in terapia per uso di stupefacenti e che possono avere bisogno di aiuto. Cioè il mio discorso non è solo per l’autismo o le co-occorrenze, ma inserisco anche tutte le malattie psichiche o anche come una persona che ha bisogno di un caregiver per qualche anno per via di un incidente… Ti sto riportando i casi, che mi vengono così si getto alla mente.
        Il pietismo in determinate situazioni (se lo tieni dentro di te e non lo vomiti addosso alla persona a mo’ di insulto) serve anche come modo per spronare il caregiver a fare del proprio meglio e a radicare a mio avviso in esso quell’input, per cui proprio non si può lasciare baracca e burattini perché quella persona oggettivamente necessita di ogni tipo di cura giornaliera. Spero di essermi spiegata meglio

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        • Con il pietismo secondo me non vai comunque da nessuna parte perché ti attiri la pena degli altri e non ti aiuteranno mai genuinamente. Alla lunga diventa degradante sia per te che per la persona che speri che venga notata e riceva il supporto necessario. La modalità è sbagliata ma il dolore è anche comprensibile e per questo è necessario modificare il linguaggio per farsi ascoltare. Massimo rispetto per i genitori, ma le riflessioni ci devono sempre essere soprattutto in situazioni così delicate che ti fanno accomunalare rabbia e frustrazione

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          • Mi sono presa qualche giorno per ripensare alle parole e sì alla fine mi sono resa conto di aver usato il termine pietismo in maniera scorretta perché ha una connotazione negativa, quando in realtà ho sempre pensato ad una parole come compassione (come ti ho scritto per messaggio e lì finalmente ci siamo capite 😌)… ovviamente compassione non come sinonimo di pietà ma proprio nella sua concezione etimologica del termine, che ha una valenza talmente bella che oserei dire a tratti poetica 😉

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  2. Pingback: La mia bibliografia a tema autismo | Daydream On a Bookshelf – Piccolo scaffale dei sogni

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